Dopo gli ultimi fatti di cronaca relativi al femminicidio di Nicoleta Rotaru, D.i.Re – Donne in Rete contro la violenza ha inviato alla presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio Martina Semenzato la richiesta di rendere operative le sollecitazioni urgenti, inviate dal GREVIO allo Stato italiano già nel 2020.
Il GREVIO sollecitava “le autorità italiane affinché considerassero l’ipotesi di introdurre un sistema, come ad esempio un meccanismo di revisione critica dell’omicidio, per analizzare tutti i casi di omicidio di donne basate sul genere – femminicidio, al fine di prevenirli in futuro, tutelando la sicurezza delle donne e obbligando a rispondere sia gli autori delle violenze, sia le varie organizzazioni che sono entrate in contatto con le parti”.
“È fondamentale comprendere i punti di debolezza del sistema e capire come possa accadere che -nonostante i molteplici contatti con le FFOO e l’autorità giudiziaria – non si sia saputa riconoscere una situazione ad alto rischio e attivare il sistema di protezione, anche previsto dalla Convenzione di Istanbul” dichiara Antonella Veltri, presidente D.i.Re – Donne in Rete contro la violenza. “È altrettanto importante individuare le responsabilità, per arrivare nel minor tempo possibile, alla correzione sistemica degli errori” continua la presidente Veltri
Ancora troppo spesso, l’analisi a posteriori che le esperte dei Centri antiviolenza D.i.Re mettono in atto evidenzia lacune ed errori che potrebbero essere evitati con la giusta formazione sulla violenza maschile alle donne e la conseguente attenzione alla valutazione del rischio.
“Intendiamo suggerire una proposta adeguata alla gravità del fenomeno e che metta in atto le raccomandazioni che, da tempo, il GREVIO ci sollecita. Mettere a disposizione l’esperienza dei Centri Antiviolenza D.i.Re è il nostro contributo” conclude Veltri
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Questa non è una storia di “denunce e contro denunce e divieti” come riportano alcuni quotidiani. E’ una vicenda nella quale sarà opportuno fare chiarezza chiedendoci e se non sia l’ennesima cronaca di morte annunciata.
Lavinia Limido, oggi ricoverata con grandissimi sfergi al volto e un taglio alla carotide alla quale è sopravvissuta, aveva chiesto aiuto allo Sato italiano.
L’ha protetta il padre, Fabio Limido, morendo a 71 anni, sotto i colpi dell’ex genero, Marco Manfrinati. E’ morto senza sapere se avesse salvato la figlia. Che cosa è accaduto a Varese?
In base a quanto riportato dai cronisti di diverse testate, il calvario di questa donna e della sua famiglia durava da tempo. Lavinia Limido era scappata il 2 luglio 2022 da casa e si era nascosta fuori provincia per il terrore di essere aggredita e uccisa. Aveva fatto ciò che era un suo diritto, proteggersi ma che era anche un suo dovere, proteggere il figlio nato nel 2021. Aveva denunciato cogliendo l’invito che viene rivolto alle donne durante le infinite passerelle del 25 novembre, accompagnate dai proclami, dai manifesti, dalle sollecitazioni e ammonimenti che tante magistrate, politici, opinionisti dell’ultima ora, declamano dopo che una donna è stata uccisa: “Abbiate coraggio: denunciate, denunciate, denunciate!”.
Poi come tante donne, aveva atteso convivendo con la paura e aspettando quelle risposte celeri ed efficaci che lo Stato italiano deve in nome della Costituzione, del Codice penale, della Convenzione di Istanbul e del Codice Rosso, e più banalmente per umanità.
Una risposta che (ne siamo testimoni tutti i giorni nei centri antiviolenza) troppe volte arriva con lentezza, fermandosi davanti agli ostacoli del pregiudizio misogino, degli stereotipi di uomini violenti che vengono visti come poveri padri ai quali perfide simulatrici vogliono sottrarre la “roba” ovvero: se stesse, la casa, soldi e figli. Ostacoli fatti anche da mancanza di organico della magistratura, delle revoche degli ordini di protezione, delle archiviazioni, della confusione tra conflitto e violenza, della incapacità di riconoscere la gravità delle situazioni e di saper valutare adeguatamente il rischio.
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Ci sono sempre meno dubbi sul fatto che quello di Sofia Stefani, uccisa giovedì sera con un colpo d’arma da fuoco in faccia, sia un femminicidio. Il Coordinamento dei Centri Antiviolenza dell’Emilia-Romagna esprime dolore e sconcerto per la morte di Sofia e si stringe alla sua famiglia ed a tutte le persone che le hanno voluto bene.
Anche questo femminicidio sta diventando un caso mediatico. È importante ricordarsi che a leggere notizie di questo tipo sono anche donne che hanno subito violenza o che, in questo momento, si trovano all’interno di relazioni violente. Per questo ci stringiamo a tutte quelle donne che in questi giorni si sentiranno ancora meno sicure, perché sapere di una donna, agente di polizia municipale, uccisa con un colpo di pistola, all’interno di una centrale di polizia, con l’arma d’ordinanza, impugnata dal suo superiore, è una notizia che mina il senso pubblico di sicurezza.
Sappiamo che la violenza patriarcale è pervasiva e non vi sono luoghi che ne siano esenti. Proprio per questo, ci teniamo a ricordare che le donne che si rivolgono ai centri antiviolenza possono farlo senza alcun obbligo di denuncia e possono chiedere di essere accompagnate e supportate in ogni passo del loro percorso di fuoriuscita dalla violenza, che è sempre guidato e orientato dalle loro decisioni.
È però un fatto che le Forze dell’Ordine ricoprano un ruolo centrale nel contrasto alla violenza sulle donne. L’uomo che ha sparato in faccia a Sofia Stefani, era il commissario capo della polizia locale e nel suo ruolo, avrebbe dovuto essere formato al contrasto alla violenza di genere. Questo femminicidio dimostra quanto il pensiero sessista sia radicato nella società, quanto sia trasversale ad ogni età, ceto sociale, acculturamento.
All’interno delle Forze dell’Ordine ci sono tante persone che agiscono con dedizione, competenza ed impegno nella repressione e nella prevenzione delle violenza di genere. Anche Sofia Stefani, durante il suo lavoro di vigilessa, aveva frequentato una formazione sulla violenza di genere presso lo sportello Via dalla violenza – spazio Angela Romanin, gestito dalla Casa delle donne per non subire violenza di Bologna.
I centri del Coordinamento si trovano spesso a collaborare in rete con i servizi e le istituzioni territoriali, incluse le Forze dell’Ordine. Il lavoro di formazione e sensibilizzazione non è mai troppo. Per questo la formazione continua delle FFOO sul contrasto alla violenza sulle donne è fondamentale, ed è cruciale che i centri antiviolenza continuino ad essere coinvolti in questi percorsi.
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