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È successo ancora. Due donne sono state uccise violentemente in Emilia-Romagna. Ana Maria Stativa, 30 anni, è stata trovata morta a Bologna, lo scorso sabato. La donna si prostituiva ed è stata uccisa da Francesco Serra, 55 anni, suo cliente. Ancora non si conosce l’identità della donna trovata morta nel porto di Rimini. Stando agli ultimi accertamenti, non si tratterebbe di Xing Lei Li, 36 anni, scomparsa durante una crociera, prima ipotesi su cui ha lavorato la Polizia.

Se si dovesse appurare che anche la morte della donna ritrovata a Rimini è riconducibile a un uomo e a una storia di violenza, si tratterebbe del secondo e del terzo femicidio in regione del 2017. Nel 2016, i femicidi erano stati 11, a cui si aggiungono 4 tentati femicidi. I termini ‘femminicidio’ e ‘femicidio’ vengono usati, lo ribadiamo, non per sottolineare il sesso della vittima (una donna) ma la causa della violenza che ha portato alla sua morte: un rapporto asimmetrico che vede la donna sottomessa all’uomo. Entrambi i termini sono espressione del diseguale potere tra uomini e donne, che porta i primi a esercitare violenza sulle seconde.

Il Coordinamento dei centri antiviolenza dell’Emilia-Romagna ribadisce l’importanza di portare all’attenzione dell’opinione pubblica il fenomeno della violenza maschile sulle donne, sintomo di una società ancora maschilista che nega il valore delle donne come persone e il loro diritto all’autodeterminazione. Nello scenario della violenza di genere, le prostitute sono le donne più esposte alla violenza e le meno tutelate a livello istituzionale e sociale. Ma poco tutelate restano anche le donne che subiscono violenza all’interno di una relazione di intimità.

Lo sciopero globale delle donne dell’8 Marzo scorso ha dimostrato che il movimento delle donne è vivo e vitale nel nostro paese e tante e importanti sono state le richieste avanzate per garantire alle donne una vita libera dalla violenza: fondi ai centri antiviolenza e riconoscimento della loro fondamentale identità di spazi laici e autonomi di donne, realtà politiche e non meri “servizi assistenziali”. Le donne che subiscono violenza, che siano cittadine o straniere presenti in Italia, devono poter avere un rapido accesso alla giustizia, secondo quanto stabilito dalla Convenzione di Istanbul. Essenziale resta la prevenzione, che implica un profondo lavoro sul piano culturale e sociale.