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Ad appena un mese dai femicidi di Gabriela Altamirano e Kelly, un’altra morte causata dalla violenza maschile scuote Parma. Arianna Rivara, 43 anni, è stata uccisa l’altra notte dall’ex compagno Paolo Cocconi, 50 anni, che poi si è tolto la vita.

Quello di Arianna Rivara è il primo femicidio in regione del 2017. Nel 2016, i femicidi erano stati 11, a cui si aggiungono 4 tentati femicidi. Un numero, quello dei femicidi, purtroppo destinato a ripetersi; un dato che, lo ribadiamo, rimane sottostimato, poiché raccoglie solo i casi che ottengono attenzione mediatica e finiscono sulla stampa. In Italia non c’è infatti un osservatorio nazionale ufficiale sui femicidi come in Francia e in Spagna, e i dati a nostra disposizione sono raccolti laboriosamente dalle organizzazioni che lavorano sulla violenza contro le donne, come la Casa delle donne per non subire violenza Onlus di Bologna, che elabora il conteggio estraendo i dati attraverso una meticolosa ricerca sulla stampa.

Il Coordinamento dei centri antiviolenza dell’Emilia-Romagna sottolinea l’importanza di usare il termine femicidio per descrivere casi come quello di Arianna Rivara. I giornali parlano di “omicidio-suicidio” quando la dinamica segue il copione della violenza maschile: lui non accetta la separazione, la punisce uccidendola e poi si toglie la vita magari in un incontro “chiarificatore”.

Fondi ai centri antiviolenza e formazione a tutti i livelli: questa la strada da percorrere per fermare la violenza maschile contro le donne. Ma sono importanti anche un uso corretto delle parole da parte dei media e un monitoraggio a livello nazionale del fenomeno della violenza di genere, perché occorre identificare il fenomeno per quello che è e conoscerne le dimensioni per predisporre le misure necessarie al suo contrasto.