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La decisione del tribunale civile di Padova – che affida un bambino al padre maltrattante un anno dopo la sua condanna in sede penale per violenza contro la moglie, maltrattamenti e violenza assistita – viola i diritti umani.

Una importante Dichiarazione internazionale sottoscritta da tutte le rappresentanti dei diversi meccanismi ONU e regionali per l’Europa, l’Africa e l’America Latina.

Arriva dalle rappresentanti dei più importanti meccanismi internazionali che si occupano di violenza contro le donne sia a livello delle Nazioni Unite che a livello regionale in Europa, Africa e America Latina, un’importante dichiarazione che esprime grande preoccupazione per “schemi ricorrenti che ignorano la violenza del partner nella determinazione dei diritti di custodia dei figli, presenti in varie giurisdizioni a livello mondiale”.

Si tratta “della delegittimazione della parola delle donne, che in sede di separazione non sono credute quando denunciano i maltrattamenti da parte del partner, che vengono interpretati non come violenza contro le donne, ma come semplice conflitto familiare, a volte fino al punto da giudicare le madri malevole o manipolatrici quando i figli impauriti non vogliono vedere i padri”, chiarisce Elena Biaggioni, avvocata della rete D.i.Re.

“Si prenda l’esempio di quanto è successo a Padova”, sottolinea Biaggioni, “dove una giudice civile ha deciso in base a una CTU, consulenza tecnica d’ufficio, il trasferimento di un bambino in casa del padre, nonostante l’uomo, un imprenditore padovano, sia stato condannato un anno fa in due gradi di giudizio in sede penale per violenza e lesioni contro l’ex moglie, maltrattamenti in famiglia e violenza assistita”.

E questo, aggiunge Biaggioni, “scrivendo nero su bianco nel decreto che la condanna in sede penale per violenza dell’uomo è «irrilevante» e definendo l’uomo «figura maggiormente idonea a garantire stabilità emotiva e accudimento del minore»”.

Nella Dichiarazione si denuncia come “tali schemi rivelano una discriminazione di genere di fondo e stereotipi nocivi per le donne”.

La nuova Piattaforma, che riunisce tutti gli organismi internazionali che si occupano di violenza contro le donne, ha manifestato preoccupazione per i continui tentativi di “inclusione della ‘alienazione parentale’ come voce nella nuova Classificazione Internazionale delle Malattie dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (ICD-11)”, tentativo “che ancora una volta per fortuna non è andato a buon fine perché non ritenuta attendibile scientificamente dagli stessi comitati dell’OMS”, sottolinea Biaggioni.

Le firmatarie della Dichiarazione – Dubravka Šimonovic, Relatrice Speciale delle Nazioni Unite sulla Violenza contro le Donne, le sue cause e conseguenze, Hilary Gbedemah, Presidente della CEDAW, Commissione ONU sull’eliminazione della discriminazione contro le donne, Ivana Radačić, Presidente del Gruppo di Lavoro dell’ONU sulla Discriminazione contro le Donne nella Legislazione e nella Pratica, Feride Acar, Presidente del GREVIO, il Gruppo di esperte sulla violenza contro le donne del Consiglio d’Europa, Margarette May Macaulay, Relatrice sui Diritti delle donne nella Commissione Inter-Americana sui Diritti Umani, Lucy Asuagbor, Relatrice Speciale sui diritti delle donne in Africa, Sylvia Mesa, Presidente del MESECVI, la Convenzione mesoamericana per prevenire, sanzionare e sradicare la violenza contro le donne – concludono la Dichiarazione con l’appello, rivolto a chi amministra la giustizia, a “considerare la violenza contro le donne nella determinazione dei diritti di custodia e di visita dei figli, in tutti i casi relativi alla custodia”, orientando le loro sentenze “al rispetto dei diritti umani di donne e bambini/e alla vita e all’integrità fisica, sessuale e psicologica”, rispettando le disposizioni vincolanti della Convenzione di Istanbul, e tenendo conto del “principio del superiore interesse del minore”.

“Questa Dichiarazione è molto importante e la magistratura italiana dovrebbe prestarvi grande attenzione”, conclude Biaggioni. “I giudici devono sapere che non tenendo conto della violenza contro le donne e della violenza assistita quando decidono sui diritti di visita dei figli, violano il diritto interno, ma anche quello internazionale e si espongono a ricorsi alla CEDU, Commissione europea sui diritti umani, o alla CEDAW”.

 

Scarica il testo della Dichiarazione in italiano (traduzione non ufficiale a cura di D.i.Re)